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Redazione ArtApp

Il Segno


Dal bisogno e dal simbolo nasce il segno: la forma della figura che diventa scultura, disegno, narrazione, e linguaggio universale

I segni rupestri nella Cueva de las Manos, letteralmente "la caverna delle mani" scoperta in Patagonia databili tra i 9500 e i 13000 anni fa. Si pensa che le mani siano state realizzate a "stencil" spruzzando pigmento colorato sulla mano, molto probabilmente con la bocca. Foto © Javier Etcheverry

Il linguaggio della cultura è indubbiamente l’estetica, a patto che si smetta di assimilarla riduttivamente a un rassicurante modello di bellezza o la si consideri solo come filosofia dell’arte. L’estetica è infatti molto di più, è la ricerca di un modo per rappresentare significati. È una pratica culturale necessaria alla definizione di una identità personale e collettiva. L’estetica ha poco a che vedere con un presunto innato atteggiamento di artisti o esperti del mestiere, bensì si costruisce sul gusto personale, ma in base ai condizionamenti sociali di quel determinato tempo. L’estetica è quell’insieme di forme espressive, condizionate da bisogno, desiderio, sensibilità, senso economico e simbolico che caratterizzano l’individuo, le sue relazioni e lo spazio sociale che lui vive (Giorgio Bonacorso).

Da qui, dalla sensibilità, dal bisogno e dal simbolo nasce il segno, la forma della figura - dal latino fingere, plasmare. La figura è il soggetto del mito, della storia, del pensiero e della mente che diventa col segno scultura, disegno, narrazione. Il segno diventa simbolo - dal greco σύμβολον [symbolon] formato dalla riunione di syn e di ballein - segno percettibile che riconduce a un contenuto più grande. Figure graficamente concentrate che già nell’era paleolitica servivano come mezzi di comunicazione e che nel tempo si sono trasformati anche in simboli magici e cabalistici. Il simbolo della croce ad esempio ci riporta al mistero dell'incontro dell'umano (segno orizzontale) col divino (segno verticale). I Romani non aprivano assemblee o non andavano in battaglia senza che prima competenti specialisti avessero consultato i segni inviati dagli dei, gli auspici. L’uomo medievale era più colpito dal significato che illuminava le forme che dalle forme stesse. Da qui la ricerca sempre più raffinata del simbolismo inteso come linguaggio universale e universalmente intelligibile, il mezzo che consente all’uomo di comunicare con le sfere superiori dell’esistenza.

Lucio Fontata, Concetto Spaziale. Attesa, 1963

Il segno in tutte le sue forme nel mondo dell’arte contemporanea non è diverso. Da Lucio Fontana che esprime il suo concetto spaziale tagliando la tela per creare un vuoto infinito, a Giuseppe Capogrossi che sparge sulla tela vaganti matrici d’immagine definite da Ungaretti “serrature cabalistiche”, segni che non presumono significati altri da sé, o a Vaslav Nijinski in grado di trasfigurare con la danza la sua corporeità, fino alle performance di Marina Abramović da lei definite come una costruzione mentale e fisica che tu porti davanti a un pubblico, in un certo spazio e in un preciso momento per creare un potere energetico vitale e trasformativo.

Questo è il potere del segno: una relazione tra una cosa e la sua trasformazione. La sua capacità di trasfigurare dando senso, che raggiunge il suo apice nel rito: la metafora che permette di dire e di fare cose che non potremmo fare. Il rito permette l’indicibile, nell’eucarestia mangiamo il corpo e beviamo il sangue di Gesù.

Rick Genest, modello Canadese conosciuto come Zombie Boy per una serie a catena di tatuaggi dell'apparato scheletrico e muscolare, che copre la maggior parte del suo corpo e che lo rende simile ad un cadavere. Foto courtesy NIGHTLIFE.CA

E poi c’è il segno che incido in modo permanente sul mio corpo per ricordare e raccontare. Soprattutto per ricordare agli altri che il corpo è solo mio e esiste nonostante i tentativi di annullarlo. Per questo il tatuaggio era diffuso soprattutto in carcere, un disperato tentativo di riappropriazione del proprio corpo. La sua diffusione ai giorni nostri induce a una riflessione necessaria almeno quanto quella, certamente più politica, che induce il segno indisciplinato dei graffitisti. Con la loro marchiatura dello spazio mettono in luce una delle più profonde contraddizioni del capitalismo contemporaneo: l’apparente gratuità dello spazio pubblico, sottoposto al contrario a una progressiva, violenta, subdola privatizzazione.

Estratto dell'Editoriale di ArtApp 20 | Il Segno

© Edizioni Archos

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