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Giorgia Basili

Allegra ma non troppo

Giorgia Basili intervista l'artista Sonia Andresano, in mostra allo spazio indipendente AlbumArte a Roma

Sonia Andresano, "Exhibitionview", 2020 | Photo © Sebastiano Luciano

Ultimi giorni per visitare la personale “Allegra ma non troppo” dell'artista Sonia Andresano, a cura di Daniela Cotimbo, presso lo spazio romano indipendente AlbumArte, appena nominato vincitore dell'Italian Council per il progetto editoriale curato dalla direttrice Cristina Cobianchi, con il merito di coinvolgere critici e curatori di rilievo.


Sonia Andresano (1983) si avvale di un approccio lirico e sentimentale, intenso e riflessivo, rivolto allo stesso tempo sia verso l'interno dell'essere a scandagliare idee, considerazioni, immagini palpitanti, sia verso l'esterno a captare e percepire la profonda connessione tra le cose e la loro astrazione mentale, partendo dall'io, dalla fitta trama relazionale, dal suo microcosmo di significazioni. L'attesa, il nomadismo incalzante, la concentrazione su dettagli impalpabili ma rivelatori, la costruzione - tassello dopo tassello - di una propria dimensione e di una rete di motivazioni segrete ispirano la poetica dell'artista salernitana, come si muovesse alla perenne ricerca del bilico: sull'orlo del precipizio, in punta di piedi. In uno stato d'animo sospeso tra pacatezza e fibrillazione investiga terreni soffusi di una sottile adrenalina emotiva.


Sonia: “Allegra ma non troppo” è il video che dà il titolo alla mostra. Subito dopo la riapertura del lockdown, mi sono ritrovata da sola nello spazio di AlbumArte a registrare i movimenti della mosca bianca: una scultura-dispositivo che utilizzo per raccontare diversi punti di vista, prospettive non completamente svelate dei luoghi che attraverso. Il contesto sonoro, molto bucolico e inaspettato, mi ha traghettato nella decisione del titolo. "Allegra ma non troppo" fa riferimento al primo movimento musicale di “risveglio dei sentimenti all’arrivo in campagna” della Sinfonia n.6 di Beethoven detta Pastorale, ma allo stesso tempo sottolinea uno stato d'animo: mi è sembrato il titolo giusto per l’intera mostra. Reduce di questo tempo diverso che abbiamo vissuto, la mosca bianca rimane sospesa in un soliloquio, ma nell’ultima scena del video è in attesa del pubblico. Compagna di viaggio irrequieta, fa da guida per tutto il percorso della mostra.


Sonia Andresano, "Mio padre e suo figlio", 2017 | Photo © Sebastiano Luciano


Giorgia: Come è nata la "necessità" di creare questa scultura? La mosca bianca sembra essere il tuo avatar, un animago, perché questa scelta?


Sonia: La mosca è un insetto molto presente in casa e per certi aspetti molto fastidioso ma bianca in natura non esiste, diventa sinonimo di rarità: è questo il paradosso. Ideata nel 2018 per una mostra itinerante nell’ex ceramica Vaccari, è diventata con il tempo una presenza a me familiare. Modellata a mano in creta ha viaggiato fino a Santo Stefano di Magra, e una volta approdata nell’enorme spazio industriale, si è resa automaticamente trasparente e invisibile per tutta la durata dell’esposizione. Ho iniziato a spostarla nello spazio, giocando io stessa a nascondino. L’ho fotografata per ore, mi sono divertita molto. Dopo questa esperienza ho capito che la sua immaterialità fisica mi interessava di più della scultura in sé. Le tracce della sua presenza, documentate solo attraverso l’obiettivo fotografico e della camera, era l’unica cosa che mi interessava registrare. I particolari su cui si posava raccontavano il luogo attraverso il dettaglio. In fall, fotografia realizzata durante la quarantena, si posa su un trampolino di legno, opera dell’artista Pierluigi Fresia. È in bilico, sull’orlo del precipizio. Tra l’ascesa e il tuffo, vola o precipita?


Giorgia: Un occhio prensile e dinamico come nel saggio di Jonathan Crary "Le tecniche dell'osservatore"… L'opera "trammammuro" rappresenta d'altronde quest'idea del movimento costante, del binario che corre sotto i piedi, gli ascensori nei palazzi dove hai vissuto hanno tutti questa particolarità di sembrare circoscritti all'interno di grate, sono vagoni che scorrono in verticale seguendo delle linee


Sonia: Hai colto con arguzia il significato del lavoro. In verità tutto inizia dal titolo "trammammuro" che in napoletano significa ascensore. Questa parola la trovo geniale: è un suono. Partendo dal suo significato letterale, l’elevatore si trasforma in un vero e proprio mezzo di trasporto: un tram che cammina sul muro. Il video racconta una condizione di perpetuo movimento, l’attraversamento continuo di luoghi e contesti nuovi da cui ripartire. Ho impiegato circa un anno per realizzarlo. Nello spazio stretto del vano ascensore salgo e scendo, arrivo e riparto. Raggiungo un livello, un panorama, una vista e cambio di nuovo prospettiva mentre i rumori esterni di mezzi su rotaie, strade, in acqua, in aria fanno da sottofondo a questi viaggi claustrofobici tra le memorie dei palazzi, delle case, delle mura domestiche.


Sonia Andresano, "Trammammuro", 2018 | Photo © Sebastiano Luciano


Giorgia: Pensi di aver trovato la tua dimensione?


Sonia: Non ancora, mi sento come se avessi firmato un contratto a tempo determinato: so che prima o poi ripartirò da dove mi trovo adesso. Il mio studio-casa lo vivo come fosse una stazione, un luogo di passaggio: do sempre un’occhiata al tabellone, in cerca di nuove destinazioni.


Giorgia: Un discorso focalizzato sul transito continuo… quello che attualmente stai rappresentando sono degli interni - gli ascensori nei palazzi, AlbumArte, La Fabbrica del Vapore, Viafarini - mentre in altri lavori hai lavorato sugli esterni, come in "trasporto eccezionale", "peso leggero", "grugame".


Sonia: Ogni interno rimanda a un esterno. Questo passaggio è percepibile attraverso l’audio: è come mettere e togliere le cuffie, sei dentro e fuori. Nei miei lavori spesso il suono ha il compito di ribaltare la visione, di spostarla altrove. In "peso leggero", per esempio, ad un certo punto subentra un suono sordo, subacqueo, mentre in "grugame" è il rumore di un’altalena arrugginita a suggerire il movimento mentre le immagini sembrano quasi immobili. In "trasporto eccezionale" invece sono le frequenze radio a trasportare il sentimento. Tutto si muove, parte, cammina e ritorna come la traccia della matita sul muro in per filo e per segno.


Giorgia: Perché hai utilizzato il robot per questa esplorazione a Viafarini, dà l'idea di scombussolamento, l'andare alla cieca, "a tentoni", in più le coordinate automatizzate spingono l'idea della casualità dell'esplorazione…c'è altro?


Sonia: No, è tutto qui: l’entropia come disordine di un sistema. L’imprevisto movimento del robot è la cosa che più mi affascinava. Ero ospite a casa di amici a Milano quando mi sono imbattuta in questo elettrodomestico. Non lo avevo mai osservato così attentamente, mi piaceva il suono molesto che diffondeva. Curiosa di vedere il suo comportamento in un ambiente a lui estraneo, ho deciso di portarlo in uno spazio molto grande: la Fabbrica del Vapore. Gli ho affidato le riprese, fissandovi sopra una telecamera e sono uscita fuori dal suo campo d’azione. Una volta dentro sembrava davvero che si stesse chiedendo: “Che ci faccio qui?”. Si muoveva in maniera goffa tra l’ordine e il caos, incespicava, urtava i battiscopa e ricalcolava il percorso girando su se stesso vorticosamente.


Sonia Andresano, "Per filo e per segno", 2018 | Photo © Sebastiano Luciano


Giorgia: Nel video si percepisce questa sorta di schiacciamento, la prospettiva è ridotta, registra solo una porzione dell'ambiente, una fascia, lo spostarsi a ridosso del pavimento, la visione da terra, simula i movimenti si un animale a carponi, acquattato. Mentre la "Mosca Bianca" aveva la possibilità di spiccare il volo, infilarsi nei pertugi, ovunque, il robot è una sorta di topolino senza la capacità di arrampicarsi lungo le pareti, difetta nella mancanza di una prospettiva totale.


Sonia: Il punto di vista del robot è basso, il suo occhio registra anfratti nascosti, angolazioni celate, porzioni e dettagli dello spazio che non siamo soliti notare. Quando si avvicina ai condizionatori svela lo sporco sedimentato, non percepibile dall’alto. La mosca bianca invece si mimetizza lei stessa tra le cose, in punti quasi invisibili: tra le prese, le tende, i fili della corrente.


Giorgia: Mi racconti il tuo legame con la scrittura, il tuo background?


Sonia: Sono laureata in Storia dell'Arte. Non tutti sanno che nella mia pratica artistica il processo di sedimentazione di un’idea è accompagnato o anticipato dalla scrittura. Utilizzo la parola scritta o la forma diaristica per appuntare idee e fissare immagini o passaggi. Spesso parto da un vocabolario di parole o direttamente dal titolo per sviluppare il progetto, come è accaduto per "trammammuro", "trasporto eccezionale", "caffè sospeso" (progetto finalista del premio “Un’opera per il Castello” di Napoli).


Giorgia: La scultura è ritornata in questa mostra, hai utilizzato la resina opaca per giocare sul significato di trasparenza ed opacità, hai rappresentato degli specchietti retrovisori di un camion, che incarnano il concetto di visione e riflesso negato…


Sonia Andresano, "Veicolo cieco", 2020 | Photo © Sebastiano Luciano


Sonia: La scultura è sempre stata presente in tutti i miei lavori, ora però è tornata in quanto oggetto, collocandosi in una precisa posizione spaziale per completare il racconto. Parlo di veicolo cieco, due sculture in resina trasparente. Questi specchietti retrovisori di camion annullano le tracce di un dietro, negano la possibilità di guardare la strada percorsa. Collocati negli “angoli ciechi” dello spazio, lo spettatore quasi ci si scontra all’improvviso. Con lo sguardo si tenta di attraversarli, ma la materia torbida nega questo passaggio. La loro estetica è elegante, li alleggerisce: viene voglia di toccarli…


Giorgia: …delle sculture-appendici, l'incarnazione dell'immagine in movimento, il pensiero reso opera concreta, risultato di una resilienza. Ho notato questo scarto di dimensione tra la mosca bianca e il lo specchio retrovisore che funziona da sineddoche, una parte per il tutto, per indicare il camion.


Sonia: Ogni lavoro ha la sua dimensione utile alla fruizione. I supporti variano nel formato: dal micro al macro, su e giù, dentro e fuori. La visione si fa spazio e anche i video si adattano al contesto. Alcuni sono immersivi, altri più celati. Il punto di vista diventa dinamico, cambia e si muove continuamente. L’intera mostra è un viaggio, un percorso in punta di piedi nell’irrequietezza dell’anima. È uno “stare sui luoghi”, tra i meandri quasi segreti, in un moto continuo a volte lento, a volte veloce.



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© Edizioni Archos

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