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Stefano Semeria

Alice in Borderland

Appunti di viaggio - Un percorso in giro per il mondo per imparare nuovamente a stupirsi guardando film e serie tv. Quarta tappa: Giappone



Amo il cinema giapponese, sono cresciuto con anime e manga e quindi sono piuttosto avvezzo ai loro film e alla loro cultura. Quando pensiamo al cinema giapponese lo colleghiamo subito a grandi registi come Akira Kurosawa oppure a saghe di fantasmi come “The Grudge” o “The Ring”, rapite e stuprate dal cinema americano. In Giappone esiste una enorme cultura visiva che va dalla pittura, ai manga, passando per gli anime e arriva al live action. La cosa più bella e affascinante è che non esiste un reale distinguo fra le arti visive (in Occidente, i cartoni animati sono per i bambini, i film sono per gli adulti), la reale differenza è il target a cui si rivolgono, ed esistono quindi prodotti per bambini, per adolescenti e per adulti, ma possono essere indifferentemente libri, manga, anime o film.


In Giappone, come in pochi altri luoghi, esistono spaccature molto nette all’interno della società e per ogni destinatario c’è la fetta del giusto sapore. Per questo motivo, trovo il cinema nipponico molto affascinante e difficile da catalogare: tra teen drama, fantasy, horror, splatter, dramma in costume, i generi sono tantissimi e nessuno prevale. Ho deciso di parlare di una serie televisiva tratta, (come spesso capita), da un manga omonimo di Haro Aso. Negli anni ho imparato che i Giapponesi hanno una grande fascinazione per Alice nel Paese delle Meraviglie di Carrol e “Alice in Borderland” una serie del 2020, diretta da Shinsuke Sato e distribuita da Netflix, ne è uno splendido omaggio.



Un gruppo di adolescenti si ritrova inspiegabilmente in una Tokyo alternativa dove sono costretti a partecipare a pericolosi giochi il cui premio finale è la vita stessa. Una premessa affascinante, ma la vera forza della serie è lo sviluppo ricco di parallelismi con il libro di Lewis Carrol, delle scenografie curatissime e bellissime e una colonna sonora ricca di J-pop perfetta e modaiola.



Noi occidentali amiamo il genere teen adult, dove ragazze e ragazzi tra i 15 e i 25 anni affrontano drammi, morte e violenza, ma se quando guardiamo serie americane come Riverdale o spagnole come Elite, abbiamo sempre una sensazione di “freno tirato” e che alla fine è più importante far vedere adolescenti nudi che fanno sesso, allo stesso target di riferimento i registi giapponesi danno sangue, violenza, esperienze visive creative ed estreme.

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© Edizioni Archos

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