La bellezza è parte emotiva dell'esperienza estetica e spesso è legata alla creatività, diventando poi soggetta al giudizio come valore
Immagine generata con il programma di intelligenza artificiale text-to-image (dal testo all’immagine) Midjourney, inserendo il messaggio "AI vitruviano nello stile di Leonardo da Vinci"
Accadono cose che sono come domande.
Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde.
Alessandro Baricco
La bellezza secondo George Santayana (filosofo 1863/1952) si trova nell’oggetto come una qualsiasi altra qualità, come il colore, l’odore, il sapore, la dimensione. È una componente affettiva, sensibile e percettiva dell’esperienza estetica. Solo successivamente diventa un valore e come tale assoggettabile al giudizio.
Nell'antichità i concetti di bello e di arte sono indipendenti fra loro. Il bello era inteso come manifestazione del bene (Platone), dell'ordine e della simmetria (Aristotele) e l’arte era percepita come imitazione, riproduzione, come attività passiva e subordinata alla natura. Da qui la condanna di Platone che, considerando la natura come imitazione delle idee, considera l'arte come imitazione dell’imitazione, cioè come attività che allontana dalle idee.
Ma cosa intendiamo per estetica? L’estetica, come manifestazione sensibile, è un termine inventato in pieno illuminismo (Baumgarten 1714-1762), quando il bello perde la sua definizione metafisica e deve essere esplorato come contraltare della parte razionale, quando fu altrettanto chiaro che molto sfuggiva alla spiegazione razionale. L’illuminismo è consapevole dei limiti del solo ragionamento e riconosce le potenzialità della parte emozionale/irrazionale. Kant (Critica del Giudizio ) e Gotlieb utilizzarono l’espressione estetica per indicare la “conoscenza sensibile” all’interno della “teoria delle arti liberali” distinguendola dalle regole delle arti meccaniche che troveranno nella tecnica la loro articolazione e la loro storia. Per Kant l'arte non imita e non crea la natura, ma la interpreta secondo i propri bisogni. L'arte è soggettiva ed esclude l'universalità che è propria della scienza. Kant divide insomma con rigore l'arte dalla scienza e nell'arte distingue l'arte meccanica dall'arte estetica, definendo quest'ultima piacevole, bella, priva di interessi materiali e avente il suo scopo in sé stessa.
La visione dell'arte come costruzione, molto diffusa nella contemporaneità, comporta una rivalutazione della tecnica (per Croce la tecnica non è altro che un espediente per comunicare l'attività creativa) e della materia e fa dell’arte un'opera di comunicazione legata profondamente ai valori culturali e sociali del suo tempo. L'idea dell'arte come comunicazione poi fa un forte riferimento al linguaggio, alla sua semiotica e alla sua semantica: l’arte come rappresentazione va al di là del rappresentato e si apre verso una dimensione mistica tendendo a rappresentare l’indicibile.
Sono Goleman e Mayer a trasportare le nostre capacità estetiche in una vera e propria scienza definendola come frutto dell’intelligenza emotiva: la capacità di identificare le emozioni -comprendere cosa è il bello per noi- un’attività intellettiva spontanea e immaginativa che, legata all’uso corretto delle emozioni, interesserebbe più del 90% del nostro sistema cognitivo, l’altro misero 10% è quello razionale sul quale l’intelligenza artificiale ha già il sopravvento.
L’estetica, dunque, è la ricerca di un modo per rappresentare significati spesso inesprimibili razionalmente, anche mediante linguaggi non verbali, quelli del corpo, della musica, del colore, della forma, insomma simbolici. Ma è anche una pratica culturale necessaria alla definizione di una identità personale e collettiva giacché l’esperienza estetica esiste nell’azione combinata tra soggetto e oggetto, nella relazione convergente tra i due. Quando questa azione si rivela piacevole possiamo parlare di piacere estetico che tendiamo a oggettivare nell’oggetto che a quel punto diventa la causa della bellezza stessa. Quando cioè è in atto l’operazione intellettuale che produce il concetto di forma e sostanza della cosa mediante l’associazione e la proiezione di quegli elementi sensibili gradevoli. In questo modo la bellezza corrisponderebbe a quel sentimento di piacere.
È il romanticismo a definire l'arte un’attività creativa: l’Assoluto creatore pone il mondo come opera d'arte e il genio continua l'artificio creativo producendo l'opera del suo ingegno non imitando ma proseguendo e perfezionando l'attività dell'Assoluto. Carattere distintivo dell'arte è così l'originalità e la novità. In Hegel poi l'arte diviene la prima forma in cui l'Assoluto, inteso come Idea, si manifesta, trovando, ovviamente, nella religione la sua antitesi. È hegeliana l'interpretazione dell'arte come forma di conoscenza e la limitata considerazione delle tecniche che sorreggono l'artista nella sua produzione.
Potremmo anche dire che la creazione si costruisce mediante il raggiungimento di quello stato di unificazione e interrelazione in grado di generare vitalità. “Creatività è la capacità di passare da uno stato di mal essere (o non essere) a stati di ben essere, ovvero ricavare vita da uno stato di non vita” (La cultura della bellezza di Maurizio Spada per Albeggi Edizioni). La creatività è l’abilità di mettere assieme dei concetti, dei materiali, dei suoni, degli elementi in modo organico e armonico. In generale quindi si configura come la capacità di passare da uno stato di separatezza a uno stato di unione.
La creatività non è certamente relativa solo all’uomo, ma a tutta la vita in generale alla quale l’uomo è strettamente correlato. Quella umana, possedendo consapevolezza di sé, è determinata dalla ricerca del sentimento di piacere indotto dalla bellezza e finalizzato a produrre soluzioni innovative. Stupirsi e stupire infatti, fanno parte delle molteplici sensazioni di piacere indotte, sono la conseguenza di questa ricerca di azioni creative in grado di agire sui comportamenti di chi ci sta attorno. La creatività è quindi un’esperienza estetica alla ricerca di bellezza.
Per l’architetto la qualità della vita delle persone, la loro armonia con l’ambiente, l’incontro e l’aiuto reciproco, hanno direttamente a che fare con la ricerca della bellezza. Conciliare estetica e contenuti affinché il processo di condizionamento dei comportamenti e degli stili di vita risulti più efficace è il nostro mestiere. Quando in architettura la forma insegue la moda (lo stile) e non ha contenuti politici non credo si possa parlare più di bella architettura. Potremmo piuttosto parlare di cosmetica e questo perché l’estetica è indubbiamente il linguaggio della cultura a patto che si smetta di assimilarla riduttivamente a un rassicurante modello di bellezza o la si consideri solo come filosofia dell’arte.
Per molto tempo “bello” è stato quello che l’uomo creativo riusciva a lasciare di utile a chi veniva dopo di lui: opere della sua arte, scoperte scientifiche, strumenti, macchine, composizioni musicali… Una ricerca di eternità da parte di chi ha la consapevolezza di essere finito nella certezza che solo la sua esperienza estetica può sopravvivergli. Un atteggiamento questo che la nostra società palliativa e anestetizzata (Byung-Chul Han), dove la vita viene sacrificata in nome di una sopravvivenza confortevole, ci impone di procrastinare affinché non si affievolisca il desiderio di bulimico consumo imposto da un sistema che per sopravvivere rifiuta il concetto di morte allontanandolo appunto mediante la cosmetica del corpo e della mente.
Se per l’architettura, che ha essenzialmente lo scopo di ideare luoghi in grado di influenzare comportamenti diversi, il bello coincide con l’utilità del processo creativo spostando di fatto l’asse estetico dall’artefatto alla sua conseguenza, nell’arte bellezza coincide spesso, ma non necessariamente, con armonia dove armonia è nello stesso tempo principio estetico di felicità e di giustizia, “una promessa di felicità” (Stendhal). Naturalmente non tutti sono d’accordo sulle capacità dell’estetica, in architettura e urbanistica, di intervenire sulle questioni di contenuto sociale, sui rischi ambientali, su questioni di etica comunitaria, sull’attitudine dell’architetto nel trattarla come scienza. Hannes Meyer, direttore del Bauhaus, era assolutamente convinto che costruire non è un processo estetico, ma forse è solo un problema di interpretazione legata al periodo storico. È tuttavia indiscutibile che autoconsapevolezza, autocontrollo ed empatia, vale a dire i capisaldi dell’utilizzo della nostra intelligenza emotiva, sono abilità indispensabili nella creazione della bellezza e nella capacità di comunicarla.
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