Redazione ArtApp
4 giorni fa
…L’unico modo di sfuggire alla condizione di prigioniero è capire come è fatta la prigione Italo Calvino
Leggo Calvino e incontro Dumas nell’unico luogo dove tutto è ancora possibile, il testo letterario, e dove con metodo posso progettare la mia evasione, la scrittura.
Ci sono due libri sulla mia scrivania. Uno è un romanzo e l’altro è una raccolta di racconti. Il mio incontro si trasforma in uno scontro fra titani alla ricerca di un finale possibile. Dalla raccolta si libera un racconto e i suoi protagonisti rimangono intrappolati nel romanzo, ed io con loro. Siamo nella fortezza del Castello d’If simile ad una superfetazione di silicio, quella forma bizzarra, quella prigione attorno cui regna un così profondo terrore... tutti prigionieri.
Il romanzo è "Il Conte di Montecristo" di Alexandre Dumas e "Il prigioniero" è il racconto di Italo Calvino dal titolo omonimo all’opera dumasiana pubblicato la prima volta nelle pagine finali della raccolta "Ti con zero", in seguito incluso anche nel libro Racconti Matematici di autori vari.
Castello d'If, fortificazione francese sorta tra il 1527 e il 1529 su un'isola dell'arcipelago delle Frioul nel golfo di Marsilia
Claude Schopp, il maggiore studioso di A.Dumas, tanto da essere chiamato dall’Editore Phebus a riscrivere tutte le introduzioni dei classici dell’autore, ha definito il romanzo Il Conte di Montecristo “sconfitta dell’impossibile e realizzazione fatalmente imperfetta”. Ed è proprio sulla base feconda di questa definizione che il racconto calviniano sembra nascere e innestare la sua narrazione prima con paura, poi con rispetto, orgoglio e ironia, infine coraggio, tutti gli stadi dell’infelicità che patiscono i prigionieri dimenticati in una prigione, come scrive Dumas.
Il racconto ha come protagonisti un geniale Calvino narrante, che veste i panni di Edmond Dantès e un Abate Faria che sembra indossare quelli di Dumas. Se Calvino avesse davvero incontrato il grande scrittore, è probabile che la loro conversazione avrebbe avuto le stesse parole pronunciate da Faria e Dantès al loro primo incontro nel romanzo:
“Chi siete voi” ”Uno sciagurato prigioniero”
“Di quale paese?” “Francese”
“Il vostro nome?” “Edmond Dantès”…
“Il vostro reato?” “Sono innocente…
L’innocenza di chi vuole sperimentare, liberarsi da schemi letterari, trovarne di nuovi, e non per questo sentirsi colpevole di produrre la propria storia. Il racconto si apre con Calvino-Dantès nella cella del Castello d’If. È ridotto ad una larva. L’unica finestrella che c’è non inquadra nessuna vista. Difficile distinguere il susseguire delle ore e delle stagioni. Le immagini che uno si fa stando rinchiuso, si susseguono e non s’escludono a vicenda. Infine arriva il mare che nella narrazione calviniana è prima in tempesta, poi calmo, ma anch’esso prigioniero, come nella tromba di una conchiglia. Il tempo e lo spazio si confondono.
Ecco che il livello narrativo si sposta. Il grande romanzo ritorna forte a rivendicare i capitoli sulla prigionia, e neppure Calvino è immune al fascino di queste pagine.
I prigionieri Dantès e Faria diventano, nel racconto calviniano, narratori a metà. Il romanzo è la regola dal quale non possono sottrarsi. Il Calvino-Dantès sembra invitare il lettore a non lasciare il romanzo, fino a quando neppure Dumas è certo dell’epilogo della sua opera. A quel punto la metanarrazione e la riscrittura si accendono e il racconto calviniano diventa quasi una passione che scardina la regola, così come l’abate Faria scalpella, abbatte muri, toglie e rimette pietre, cercando con affanno il pertugio giusto per fuggire verso la libertà.
Ma più la fortezza vera-dumasiana resiste, più quella immaginata prende forma nella scrittura calviniana. La comicità rocambolesca del racconto si vivacizza nel tessuto tragico del romanzo con immagini letterarie forti e personali, come quella della sospensione nel tempo dello starnuto dell’abate.
La fortezza vince sempre e ancora. Vince il romanzo perché quando Faria sbuca da sottoterra, il prigioniero si volta: ha sempre lo stesso viso, la stessa voce, gli stessi pensieri. Il suo nome è lo stesso: Edmond Dantès. La fortezza non ha punti privilegiati: ripete nello spazio e nel tempo sempre la stessa combinazione di figure. (I.Calvino)
È difficile evadere dal romanzo dumasiano, troppo popolare e misterioso, perfino nella sua genesi e paternità, ben strutturato e ambizioso. Calvino, però, ha la sua intuizione da grande narratore qual è: Tutto quel che c’è di non chiaro nel rapporto tra un prigioniero innocente e la sua prigione continua a gettare ombra sulle immagini e sulle decisioni. Se la prigione è circondata dal mio fuori, quel fuori mi riporterebbe dentro ogni volta che uscissi a raggiungerlo: il fuori non è altro che il passato, è inutile tentare di fuggire. Devo pensare la prigione non come mia, ma come un luogo senza relazioni con me né all’interno né all’esterno.
Ora tutto è possibile, come in una scatola cinese. Attraverso geometrie calviniane precise come quelle che Faria traccia sulle pareti della sua cella, il racconto arriva sulla scrivania di Alexandre Dumas e rivela che il manoscritto di dodici tomi intitolato "Il Conte di Montecristo" aspetta di essere consegnato al suo editore.
In mezzo ai capitoli pronti, Dumas sta ancora sistemando quelli sulla prigionia al Castello d’If. Il racconto sta per concludersi. Faria ed io ci dibattiamo là dentro, lordi d’inchiostro, tra aggrovigliate correzioni, sui margini della scrivania si ammucchiano le proposte di continuazione della vicenda. A Faria-Dumas l’unica pagina che interessa è quella dell’evasione, perché altrimenti il romanzo non può continuare. Invece il Calvino-Dantès vuole i fogli scartati, la molteplicità delle soluzioni possibili per decidere cosa trattenere o escludere. Per decidere cosa scrivere.
Così, mentre un ignaro Dumas restituisce alla letteratura un racconto brillante, Calvino riporta ai lettori un romanzo eclettico e mai conosciuto del tutto. Questo accade quando si entra nel luogo della molteplicità delle cose possibili.
Il Castello d’If non fa più paura a chi pensa che la scrittura sia quel respiro buono che toglie dalle segrete del vivere, dalle sale d’attesa dei fogli bianchi e dalla consapevolezza che non tutto può diventare letteratura, se non al prezzo di una continua ricerca. Sulla mia scrivania Il romanzo e il racconto sono accanto, finalmente liberi di trovare la propria isola nel mare di tutte le possibilità.
Articolo pubblicato su ArtApp 16 | LA PRIGIONE
Chi è | Sandra Maria Dami
Tutor dell’apprendimento e consulente di metodo allo studio, ha collaborato al progetto pilota Aliforti, integrazione fra le risorse della scuola e del sistema della formazione professionale. Per la Caravellaeditrice ha pubblicato lo pseudo-romanzo La cartella di cuoio e il racconto Miele di Lavanda. Attualmente impegnata nella ricerca di nuovi metodi dell’apprendere fra saperi e pratiche, senza mai dimenticare la cura per i libri e la scrittura.
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