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Dante Sacco

Dario Giancane. Una prosopopèia necessaria

L'artista rappresenta l'immagine del volto lavorando sulla lastra d’acciaio che diviene il non luogo ove oltrepassare i limiti della materia


"Prosopopèia", Dario Giancane | Foto © Dante Sacco

Per comprendere pienamente l’origine di un volto è necessario far ri-emergere l'elemento antropologico, basandosi sulla rappresentazione e sull'analisi degli stati d'animo, dei sentimenti e delle passioni umane, in esso contenuti, fissando i pensieri, i silenzi e le pulsioni sul metallo, al di là delle facili e superficiali urgenze visive, attraverso l'interazione primigenia che annoda lo sguardo umano alla psiche e alla storia stessa dell’individuo rappresentato. Tale è l’intenzionalità dell’artista Dario Giancane che rappresenta l'immagine del volto nella forma dell’icona bizantina, lavorando sulla lastra d’acciaio che diviene il non luogo ove oltrepassare i limiti della materia grazie alla quale si manifesta non solo la dimensione antropologica del soggetto ritratto, ma anche la stratigrafia emozionale, gli eventi e le storie che nell’ossidazione del metallo divengono il presente di un passato sonoro.


"Prosopopèia", Dario Giancane | Foto © Dante Sacco


Questo laico ritorno al ritratto, alla rappresentazione di altro rispetto agli occhi della pandemia mascherata e menomante, pare diventare il senso dell’azione e un mezzo per fare, “ποιέω”, un volto, “πρόσωπον”. Una prosopopèia necessaria dunque, per ripensare la rappresentazione, donare una possibilità di accesso a una domanda, sfiorando la verità del soggetto rappresentato. Prosegue Giancane e al contempo trasforma cavando materiale inerte dalla tradizione di un passato greco che intorno al volto ha fissato solo momenti personali. Un tempo che non può non essere narrato se non con le rimanenze di eventi collettivi ed intimi, di cui le immagini esulano dal presente abusato, per cogliere il senso più profondo della nostra esistenza. Ogni volto è dialogo e silenzio. Le stentoree pennellate, l’ossidazione del metallo, i solchi cromatici, sono arature che lasciano il segno dell’istante del dialogo instaurato tra l’artista e i modelli involontari del risultato e della volontà della materia.


Dario Giancane | Foto © Dante Sacco


Il risultato è inaspettato e cerca di raggiungere la misura del soggetto che la impone, cioè in relazione all’esperienza dialogica che, per ogni prosopopèia, l’artista e l’individuo concepiscono. In Giancane non resta che l’utopia del controllo della reazione chimica tra acidi, metallo, pigmenti e materia. Egli concede a se stesso solo l’ardire dell’accesso alle persone, le sfiora e le legge donando in tal modo una forma del volto di cui non sarà essenziale esporre i sospetti, il nome, il tempo se non l’individualità che nel volto si manifesta. L'immagine, che con Warburg diviene strumento d'indagine della psicologia di un'epoca, con Giancane è chiaramente il risultato di quella universalità senza tempo degli incontri e delle possibili reazioni chimiche che piombano quando gli individui si attraggono o si confondono.

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© Edizioni Archos

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