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Iginio De Luca - Lo gran mar dell’essere

La mostra ruota attorno a temi sospesi e fluttuanti, una stagnazione metaforica che abbraccia contesti fluviali e marini quali quelli del Tevere a Roma e lagunari a Venezia


Iginio De Luca, Lo Gran Mar Dell'Essere | Fotografie © Luis Do Rosario


Presso la Marina Bastianello Gallery, a Venezia, è in corso la mostra “Iginio De Luca - Lo gran mar dell’essere”, che proietta il visitatore all’interno di un mondo sospeso e perturbante, un riscatto esistenziale per gli oggetti e per lui stesso, un’ultima possibilità di sopravvivenza dell’inservibile che trova il suo punto di redenzione e deflagrante liberazione nell’arte. Una confluenza di acque e geografie che si apre a molteplici interpretazioni dai toni profondi, sommersi e che si coniuga alle dimensioni umane dell’oblio e dell’abbandono. Tutti i lavori esposti vivono questa tensione osmotica tra mare e fiume, una simbiosi liquida, uno scambio mutevole di appartenenze che pone lo spettatore in una condizione riflessiva di domanda, una possibilità di rispecchiamento etico e psicologico nello spazio interno ed esterno della galleria.



Cristiana Parrella, critica d'arte e curatrice, scrive: “Attento da sempre all’estetica del margine, all’epifania di qualcosa che è nascosto e si rivela, Iginio De Luca ha praticato le sponde del Tevere guardando a ciò che occulta il suo alveo limaccioso e oscuro nelle acque più basse, verso la riva, in cui le correnti hanno meno forza e non si formano mulinelli: rottami, relitti di oggetti, testimonianze del “mondo di sopra”. De Luca li ha fotografati, immersi nell’acqua torbida e grigia che ne sfuma i contorni, coperti di limo, incagliati tra le rocce. Solo pochi dettagli emergono dalle immagini lattiginose, la forma di una ruota di una bicicletta, il colore di un tessuto che affiora dall’acqua. Il resto si uniforma in una visione monocroma, onirico-mnemonica, archeologica.



La melma del fiume copre tutto, tutto conserva, stratifica e rimuove. Il Tevere è la memoria della vita quotidiana a Roma. Il suo fondale, i sedimenti che lo compongono, conservano e nascondono testimonianze di epoche remote: monete, frammenti d’anfore, lucerne, materiale da costruzione. Resti di scafi, ancore, armi di vari periodi, perfino brandelli di divise appartenute a combattenti in rotta della Repubblica Romana del 1848, come quelli trovati recentemente dalle benne di una draga. È la Storia minore, non eroica, quella di cui il fiume, nei secoli, conserva le tracce. Cosa diranno di noi i reperti della nostra epoca che Iginio De Luca ha fotografato prima che scomparissero nelle acque torbide del Tevere, inghiottiti dalle sue correnti? È alla nostra riflessione, più che a quella dei posteri, che l’artista li offre facendone i protagonisti della sua ultima serie di lavori. 



Le immagini fotografiche, realizzate nel 2021, sono state una prima volta utilizzate, ingrandite formato cartellone, per una serie di stranianti affissioni stradali nelle vie della Roma post Covid.  Il linguaggio della pubblicità è spesso usato da De Luca per portare all’attenzione temi e cose a cui non si guarda.  Nelle sue azioni urbane, i “blitz” -provocatorie incursioni non autorizzate nello spazio pubblico che nella sua pratica artistica affiancano fotografia, video e installazione- il tono pop e gli strumenti della comunicazione commerciale sono utilizzati con intento di denuncia etica e politica.  Anche a Venezia la prima immagine della mostra, posta all’esterno della galleria, sull’acqua di un canale in cui si riflette, è montata, come un’insegna, su un lightbox che conferisce alla fotografia una straordinaria presenza.

 

La luce del dispositivo pulsa, restituendo, attraverso il codice Morse, il titolo della mostra: Lo gran mar dell’essere, verso di Dante, dal I Canto del Paradiso.



© Edizioni Archos

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