Il colore del suono
La relazione che lega il suono al colore è uno del caratteri sostanziali della musica, tanto nel suo costituirsi tale, che nel suo evolversi storico, dall’età classica ai giorni nostri
Notoriamente i parametri che caratterizzano e identificano un suono sono: l’altezza, la durata, l’intensità e infine il timbro, che ci consente di sapere se una stessa nota è suonata, ad esempio, da un violino o da una tromba. Il timbro dunque conferisce qualità al suono. Il timbro si compone di 2 elementi: l’inviluppo e lo spettro (acustico). L’inviluppo identifica la modalità con cui un suono attacca, perdura e si estingue: generalmente più morbido e prolungato in strumenti come il flauto e il violino, più secco e breve nelle percussioni. Lo spettro identifica il contenuto in armonici e il prevalere di alcuni armonici su altri. Dunque il timbro conferisce uno specifico profilo al suono e lo particolarizza. Il timbro è il carattere del suono più strettamente associato all’idea di colore, e in modo così spiccato che in Tedesco la parola che lo traduce è «Klangfarbe», letteralmente “suono-colore”.
La relazione che lega il suono al colore è dunque uno del caratteri sostanziali della musica, tanto nel suo costituirsi tale che nel suo evolversi storico, dall’età classica (Pitagora) ai giorni nostri. Innanzitutto è stato sperimentalmente dimostrato che il nesso che lega suono e colore ha un importante substrato neurofisiologico. Alla nascita la guaina mielinica che riveste le fibre nervose non è completamente formata, così ad esempio uno stimolo visivo si confonde con uno stimolo acustico ed il neonato di entrambe ne ha una percezione “confusa”: in un certo senso “vede” i suoni e “ascolta” le immagini. Questo fenomeno, noto come «sinestesia» con la completa mielinizzazione delle fibre nervose si attenua fino quasi a scomparire, ma non scompare del tutto: la memoria sinestesica delle esperienze neonatali condiziona l’essere umano anche nelle fasi successive della vita, seppure con rimarchevoli differenze da individuo a individuo.
Nell’arte, i primi consapevoli approcci per sperimentare l’associazione di suoni e colori si debbono a Giuseppe Arcimboldi (1527-1593). L’Arcimboldi a partire dal sistema pitagorico delle proporzioni armoniche fra toni e semitoni, pare abbia creato una corrispondente scala di valori cromatici, quindi attraverso la creazione di un’apposita scala di grigi, pare sia riuscito a correlare i rapporti tra i gradi della scala musicale e la luminosità dei colori. A circa metà del XVII secolo Athanasius Kircher si spinse a formulare macchinosi apparati tabulari che associavano gradi di luminosità, intensità della luce, colori e suoni musicali (Ars magna lucis et umbrae, 1646), indirizzandosi poi alle associazioni fra colori e intervalli musicali (Musurgia universalis, 1650). Al rapporto suono-colore non fu insensibile neppure il genio di Isaac Newton (1642-1726) che analizzando lo spettro della luce concluse che, considerata l’analogia fra i sette colori dell’arcobaleno e le sette note musicali, doveva esserci una corrispondenza diretta fra fenomeni sonori e cromatici.
Il tema della relazione suono-colore avrà però una sua effettiva elaborazione solo nel ‘900, da un lato con i lavori di musicisti che cercavano di rendere visibile il suono attraverso il suo accostamento a luci colorate (Alexander Skrjabin prima e Arnold Schönberg poi), dall’altro con l’opera di pittori che cercavano di conquistare con il colore quella dimensione temporale che è propria della musica (Vasilij Kandinsky e Paul Klee). Nel 1911 Skrjabin allestì la prima esecuzione del suo poema orchestrale “ Prometheus – Poema della fiamma”. Nella complessa partitura di questa composizione compare un rigo specificatamente dedicato allo strumento “luce”, che Scrjabin così giustifica: «la melodia può partire dai suoni ma continuare in una sinfonia di linee luminose». La tabella di corrispondenze suono-colore utilizzata nel Prometeo incuriosì Kandinsky, che da tempo si interessava a quel problema. Kandinsky era letteralmente rapito dalla facoltà della musica di poter essere totale astrazione: «Per noi pittori il più ricco ammaestramento è quello che si trae dalla musica. Con poche eccezioni e deviazioni la musica, già da alcuni secoli, ha usato i propri mezzi non per ritrarre le manifestazioni della natura, ma per esprimere la vita psichica dell'artista attraverso la vita dei suoni musicali...».
D’altra parte se, come sopra accennato, i pittori cercavano di integrare attraverso il suono quell’elemento temporale costitutivamente assente nelle arti visive, i musicisti cercavano nel colore la possibilità di rendere concretamente visibile il timbro musicale. In questa direzione si mosse Arnold Schönberg. Egli ci parla esplicitamente di una “Klangfarbenmelodie” (lett. melodia di suono-colore) ossia di un’architettura sonora nella quale altezze e ritmi sono una qual sorta di “impalcatura” che sostiene il continuo alternarsi e sovrapporsi di varie combinazioni timbriche, così come appare chiaramente nel terzo dei “Cinque Pezzi per Orchestra op.16”. Ciò troverà una sua sistematica applicazione a partire dal dopoguerra, con la produzione musicale elettronica ed elettroacustica dagli anni ‘50 in avanti.
La musica elettronica è infatti un continuo fluire di variazioni timbriche, ora sfumate ora nettamente contrastate, rispetto alle quali le altezze e gli aggregati ritmici hanno un compito di guida e supporto: il sintetizzatore ha introdotto nella musica una nuova prospettiva del comporre. Ad un’architettura sonora concepita come articolazione di altezze e ritmi su un substrato timbrico determinato, si è sostituita un’articolazione timbrico-cromatica continuamente mutevole su un substrato armonico-ritmico relativamente rigido. In tale contesto il fluire del suono-colore è l’elemento prevalente, l’interesse centrale del compositore mediante il quale giustifica la forma dell’oggetto musicale e il suo valore artistico.
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