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Matteo e Valentina Marchetti

In-Flusso dell’arte: progetto e prodotto artistico nell’epoca della riproducibilità digitale

Quali sono state, per l’arte, le conseguenze del passaggio all'era digitale? Come si è modificato l'approccio degli spettatori con l'avvento del web 2.0?


Lucca COmics 2018


Né la materia né lo spazio, né il tempo non sono più […] ciò che erano da sempre. C’è da aspettarsi che novità di una simile portata trasformino tutta la tecnica artistica […] fino magari a modificare meravigliosamente la nozione stessa di Arte.

Paul Valéry

A metà degli anni ’30, W. Benjamin parlava di come fotografia, cinema e radio stessero cambiando la concezione dell’arte tramite la possibilità di riprodurre infinite copie identiche all’originale. I principi dell’hic et nunc e di aura dell’opera d’arte venivano messi in crisi: il prodotto artistico poteva essere moltiplicato all’infinito e il suo “esserci unico” diventava un “esserci di massa” adatto ad una fruizione pubblica, più profana e democratica. Tuttavia, nemmeno Benjamin poteva immaginare quali fossero, per l’arte, le conseguenze del passaggio dalla riproducibilità meccanica del suo tempo a quella digitale odierna. Quest’ultima permette, infatti, non soltanto di riprodurre all’infinito i prodotti artistici e renderli fruibili ad un pubblico di massa, ma consente di inserirli in un flusso di contenuti direttamente consultabili in formato pocket su di un qualunque device.


Il flusso, proprio di web e piattaforme social, distrugge categorie e gerarchie: al suo interno, spesso senza soluzione di continuità, i contenuti scorrono l’uno dopo l’altro e il tempo di fruizione del prodotto artistico, o meglio delle sue infinite copie digitali, diminuisce notevolmente appiattendo ogni contenuto e significato in ciò che scorre di continuo sullo schermo. Dal canto suo lo spettatore, dall’avvento del web 2.0, non si limita a guardare, ma è divenuto consumatore attivo del prodotto: egli commenta, condivide e modifica i contenuti del flusso prendendo parte attiva al loro processo di moltiplicazione, coverizzazione e modificazione. Da queste considerazioni è chiaro che se un residuo di aura ancora rimane, essa non sia da ricercare nella concretezza digitale del prodotto artistico o nella tradizionale dicotomia tra originale e copia, ma piuttosto va individuata nell’idea o immagine che fluisce e si incarna in rappresentazioni diverse che, a seconda delle interazioni con gli spettatori/consumatori/autori, danno vita ad emergenze e contingenze inaspettate ed eventuali.


Questo concetto è simile alla differenza tra image e picture descritta da J.T.W Mitchell: la prima è definita come un’immagine immateriale che sopravvive alla scomparsa o distruzione del supporto in cui si incarna mediante la trasmigrazione in copie, cover, narrazioni e tracce preservate nei media, mentre la picture è il supporto concreto, la rappresentazione specifica in cui l’image si incarna. Un esempio paradigmatico di questi concetti è il manifesto digitale realizzato da Lorenzo Ceccotti, aka LRNZ, in occasione del LuccaComics and Games 2018. Gli utenti, registrandosi al sito dell’evento, avevano la possibilità di inserire alcune parole chiave per variare colori, sfondo e dettagli della figura androgina in primo piano e realizzare un manifesto “unico” e personale. Nonostante le scelte dell’utente l’algoritmo, implementato dall’artista tramite consigli e pareri degli utenti sui social, si avvale di un livello di casualizzazione elevato e di un’autonomia tale da rendere il processo affascinante nel suo mix tra controllo ed emergenza inaspettata.



Il lavoro di LRNZ è un’opera che tende all’infinito: il progetto del manifesto si riproduce seguendo le regole della natura, dove ogni specie è costituita da individui allo stesso tempo simili ed irrimediabilmente unici. La riproducibilità digitale, alleata di una generazione social che vuole partecipare attivamente a esperienze, processi e prodotti che “consuma”, non ha influito solo sulla mutazione del prodotto artistico in sé, ma anche sul cambiamento dei luoghi di fruizione. La realizzazione negli anni ’70 del Centre Pompidou rende obsoleto il concetto di museo e ne afferma il nuovo ruolo di centro operativo e creativo nella città. L’istituzione si avvicina a tutti gli strati della società ed include in sé cultura tradizionale, popolare ed intrattenimento: si tende ad una democratizzazione degli spazi museali e contemporaneamente si afferma la loro commercializzazione.


Il nuovo millennio segna una svolta nell’evoluzione dello spazio museale: la riduzione del tempo libero, il superlavoro e lo stress della generazione contemporanea impongono ai musei, in qualità di organizzazioni erogatrici di svago, un ripensamento dell’esperienza stessa al fine di rimanere competitivi all’interno del mercato dell’intrattenimento. In questo processo gioca un ruolo fondamentale la diffusione dei modelli di rappresentazione virtuale e realtà aumentata, che permettono da un lato di creare esperienze dis-locate in termini di tempo e spazio e dall’altro di instaurare una nuova relazione tra oggetto reale e rappresentazione virtuale.


Il Rijksmuseum di Amsterdam rappresenta, in questo senso, un caso interessante. La riapertura al pubblico, dopo la ristrutturazione, viene preceduta da una serie di happening organizzati in centri commerciali nei quali i classici fiamminghi prendono letteralmente vita tra la folla, l’inaugurazione inoltre diviene un evento “nazionale” con tanto di fanfara, fumogeni arancioni e una folla di curiosi scalpitante. La gigantesca scritta “I amsterdam” fronteggia l’ottocentesca facciata prestandosi a condivisioni e pubblicazioni con tanto di hashtag. Anche l’esperienza di fruizione cambia prevedendo l’esplorazione online della collezione da remoto e l’implementazione di quella fisica attraverso un tour multimediale su smartphone, che permette di accedere a contenuti extra virtuali e animare letteralmente le opere.


Il progetto Rijksmuseum Schiphol, inoltre, consente all’istituzione di espandersi anche all’aeroporto nazionale: una serie riproduzioni real size popolano lo spazio ed accolgono i visitatori, mentre una selezione di opere permette loro di entrare in contatto con la cultura fiamminga anche senza visitare Amsterdam. Permane la diatriba sulla relazione tra rappresentazione e realtà, ma questo caso, insieme ad altri web museum (come Google art project etc) e progetti di implementazione dell’esperienza “reale” (7 scenes, Street Museum of London, Museo dell’Ara Pacis etc), consentono di entrare in contatto con aspetti altrimenti di difficile percezione, come i dettagli della cupola di Santa Sofia, di accedere a materiali di altrimenti difficile fruizione quali documenti di archivio, come le foto storiche dell’incendio di Londra, o di vedere opere non esposte per questione di spazio, segnando quindi un passo avanti nel percorso di valorizzazione del patrimonio culturale comune.


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© Edizioni Archos

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