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Matteo Berra

L'ho capito io il bisonte

Dove comincia la storia dell'arte? Da un uomo primitivo, o forse una donna, che prende un carbone e disegna un bisonte sul muro della caverna


Il bisonte delle Cave di Altamira in Cantabria, Spagna

Ho una immagine che evoco spesso, che frequento volentieri. È una storia che nessuno può raccontare, ma che possiamo immaginare con ragionevole certezza. È la storia di un uomo che con il suo gruppo viveva della foresta, beveva del fiume e cacciava animali selvatici. Inverni gelidi stretti attorno al fuoco, a dormire per terra e mangiare con le mani, scappando dai predatori, in notti buie di paura con le luci delle stelle innumerevoli e lontane. Tra questi uomini che morivano a vent'anni per un ascesso, una sera se ne alza uno, o forse una donna poco importa, con un carbone e disegna un bisonte sul muro della caverna. Un atto che va oltre la necessità, ma che racconta più di quanto sia in grado di rappresentare. Quel disegno vuol dire: “L'ho capito io il bisonte.” Quel disegno vuol dire che un giorno le cose andranno meglio, si mangerà bisonte senza rischiare la vita, senza fare fatica, senza avere il freddo che ti stacca la pelle.


Quel disegno vuol dire che questa bocca ancora muta ha già imparato tante parole, sa già descrivere il mondo in cui non si avrà paura del mondo. Quel disegno vuol dire anche che l'uomo sa fare altro che non sia lottare, uccidere e strappare. L'uomo sa disegnare, racchiudere la volta celeste sotto un tratto curvo, sa descrivere la magnificenza del bisonte oltre che ucciderlo, sa riconoscere il valore del leone che caccia e uccide l'uomo. Il disegno racconta cosa sa questo uomo di cui non sappiamo nulla, se non con buona approssimazione, che conduceva una vita infernale e che è morto probabilmente male. Questo uomo ha avuto la forza di alzarsi e disegnare il mondo. Lui è dimenticato, il suo disegno racconta ancora ad altri uomini la sua storia.


Ogni volta che penso a cosa significhi essere un artista, penso a questo uomo qua, a questa donna forse, che non ho mai incontrato. Penso all'assurdità della sua voglia di disegnare, che si manifesta nonostante tutto, come la vita stessa, come l'erba infestante. Penso allora che non ci importa chi fosse lui, fosse anche il peggior elemento del suo gruppo, fosse un detestabile vigliacco piuttosto che un coraggioso altruista. A nessuno dei suoi questo importava, nel momento in cui disegnava, in cui raccontava meglio di tutti quello che vedevano e vivevano. Allora il problema non risiede solo nell'individuo, ma anche nella comunità, che ha tra i suoi elementi un narratore, una narratrice in grado di riassumere, di costruire un racconto meglio degli altri ed in vece di tutti gli altri. Un racconto in cui tutti si riconoscono, per cui tutti si emozionano e di cui tutti riconoscono il valore.


Chi si fosse alzato e avesse cancellato il disegno, distrutto la narrazione, non avrebbe colpito l'artista, ma tutta la comunità, ne avrebbe impoverito l'immaginario e compromesso il futuro. Il problema non è solo l'artista, ma anche la comunità, che abbia voglia di capire, ascoltare e vivere il futuro. Una società che non è in grado di farlo è spacciata. Vi sono altre due immagini che mi sembra necessario evocare a compendio di questo breve viaggio a ritroso. In primis l'interrogativo sull'origine della vita, a fronte della nostra comprensione discretamente affidabile dei processi che hanno dato forma al cosmo. Ebbene, la vita sulla terra si è manifestata perché era possibile, perché non poteva essere altrimenti. Perché quando tutto concorre a che qualcosa avvenga, questo accade, inevitabilmente. Per lo stesso motivo l'uomo o donna di prima si è alzato a disegnare, non poteva essere altrimenti.


Non è importante chi o quando, ma sicuramente un individuo umano in una qualche grotta si sarebbe alzato a disegnare. Era un evento inevitabile, date le caratteristiche che aveva acquisito l'uomo. La seconda immagine la mutuo dal discorso di un biologo marino di un film di Werner Herzog che, cito liberamente, dice che l'evoluzione ha avuto luogo sulla scia della paura. La necessità di uscire da un mondo feroce di morte e di lotta per la vita ha spinto gli organismi a diventare sempre più complessi, pericolosi e resistenti. Ma la paura è rimasta. Ebbene l'arte è l'esercizio delle facoltà umane che ci permette di circoscrivere il mondo, di cercare di capirlo e quindi forse in fondo, di averne meno paura.


Mi spiace che la mia visione sull'identità dell'artista si sia manifestata in una forma piuttosto magmatica, una sorta di flusso di coscienza, ma qualsiasi altra definizione più puntuale mi sembrava parziale e limitante. Spero che in conclusione sia emerso quanto l'identità ed il ruolo dell'artista passino prima di tutto dal suo agire, dalla sua pratica inevitabile dell'arte, piuttosto che da altri elementi di eccentricità o narcisismo. Spero inoltre che risulti altresì importante il ruolo della società, la cui ricettività crea l'ambiente che rende inevitabile l'operato dell'artista. Chiuderei con un verso particolarmente illuminato di Giovanni Lindo Ferretti: “Non tutti possono, allungando le braccia, afferrare la sorte e schiaffeggiarle la faccia.” Uno di noi un giorno si è alzato in piedi in una grotta ed ha fatto un disegno.


Articolo pubblicato sul numero 23 di ArtApp | L'Identità

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© Edizioni Archos

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