Michel Pastoureau e la storia dei colori
- Ornella Tondini
- 20 apr 2020
- Tempo di lettura: 5 min
L'antropologo, storico dell’arte e scrittore francese ha tracciato una sintesi della storia europea, partendo dagli albori, narrandola attraverso la storia dei colori

"Il funerale del Diavolo" (particolare) Cattedrale Santa Maria Matricolare, Verona
Per tutti coloro che frequentano e amano la pittura esiste da alcuni anni un prima e un dopo: aver letto o meno i libri di Michel Pastoureau sui colori: 1991: L'Étoffe du diable - Une histoire des rayures et des tissus rayès / 2000: BLUE. Histoire d’un couleur / 2008: NOIR. Histoire d’un couleur / 2013: VERT. Histoire d’un couleur / 2016: ROUGE . Histoire d’un couleur / 2019 JAUNE. Histoire d’un couleur.
Con questa impressionante serie di volumi, pubblicati in paperback e contemporaneamente in magnifici libri illustrati di grande formato, Pastoureau ci regala una sintesi grandiosa della storia europea narrata attraverso la storia dei colori, affermando che quest’ultima non può essere che storia sociale, perché “è la società a fare il colore, a dargli una definizione, un senso, dei codici e dei valori”. Sul primo dei suoi libri, dedicato a “I Tessuti del Diavolo”, Pastoureau, dispiega un elenco di personaggi che nell’occidente medioevale vengono definiti negli scritti e nelle immagini dalle stoffe rigorosamente rigate che indossano. Bastano per riconoscerli anche soltanto le righe araldiche sui loro stendardi e sulle armature, semplici strisce a vivaci colori su gualdrappe, calzari, cuffiette.
“Sono tutti in qualche modo degli esclusi, dall’ebreo all’eretico, fino al buffone al giocoliere, passando dal lebbroso al boia o alla prostituta, dal cavaliere traditore della Tavola Rotonda, al folle del libro dei Salmi o al personaggio di Giuda, ma anche avidi servitori figli ribelli, nani crudeli. Tutti disturbano o pervertono l’ordine stabilito. Tutti più o meno hanno a che fare con il diavolo”. È un incipit esaltante, ci promette o ci fa intravedere che posti davanti ad un affresco del XIII secolo che raffigura uomini avvolti in mantelli a grandi strisce, potremmo essere in grado di identificarli come monaci del Carmelo, portati dal Re Luigi IX di Francia dalla Palestina a Parigi al ritorno da una crociata disastrosa, monaci che furono accolti da insulti e percosse in tutta Europa fino a quando il bando del Papa Bonifacio VIII proibì a tutti gli ordini monastici di indossare tessuti rigati.

Infiniti sono gli esempi che Pastoureau ci offre per leggere un dipinto attraverso i colori, e quindi a poterne trarre sommo diletto. D’ora in avanti di fronte ad un incontro di cavalieri sapremo subito che il cavallo bianco porta l’eroe, il santo, mentre il cavallo maculato appartiene al traditore, al bastardo, allo straniero; che per il mondo animale come quello umano, essere rosso di pelo, a macchie, a righe è una condanna senza rimedio. Davanti a un quadro di Hieronymus Bosch o di Bruegel, con decine di figure, non vedremo più una folla informe ma una moltitudine di individui e ne riconosceremo alcuni: colui che fruga in una borsa è un ladro perché le sue calze sono multicolori, alcuni altri li sappiamo ebrei perché il loro vestito è giallo. I libri dedicati a ciascun colore, pubblicati in oltre trenta paesi nel corso di lunghi anni - quello del giallo appare ora in ordine sparso sugli scaffali del mondo intero - sono il prodotto di trent’anni di seminari all’Ecole Pratique des hautes études de la Sorbonne e all’Ecole des hautes études en sciences sociales, e ci dicono tutto sulla produzione dei colori attraverso i tempi e i luoghi della società occidentale, da quale vegetali o minerali erano prodotti, il loro costo, l’alternarsi della loro fortuna.

Hieronymus Bosch, trittico del Giardino delle Delizie, 1500
Per lunghi millenni il ROSSO è stato in Occidente il solo colore degno di questo nome. Roma, durante tutta la sua storia, non ama che il rosso, e soprattutto la porpora, il colore puro estratto da un mollusco che nel morire esala il suo succo. Indossare un indumento di sola porpora è un privilegio imperiale. Pastoureau possiede l’arte di far vivere ogni informazione attraverso un aneddoto che la rende indimenticabile: «Suetonio racconta che sotto il regno di Caligola il figlio del re di Macedonia, Giuba II, giovane elegante e sfrontato che si era mostrato a Roma vestito di porpora dalla testa ai piedi, fu arrestato e messo a morte ». Nel 1500, gli spagnoli, scoprono nei mercati degli Aztechi la cochenille messicana, che produce un rosso saturo e luminoso come non se ne erano mai visti. Ne custodiscono il segreto per secoli; vale quanto l’oro, senza questo colore non avremmo i dipinti di Tiziano, Rubens, Velasquez, le infinite Giuditte che versano tanto sangue…»
Quanto al BLU, per i Romani era stato il colore dei barbari, celti e germani che, a dire di Tacito e Cesare, si dipingevano di blu per spaventare il nemico. Era segno di lutto, gli occhi blu un difetto e per le donne un segno di impudicizia. Fino alla metà del XII secolo, non lo si vide mai a corte, né tra i cavalieri e veniva indossato solo dalla plebe. Ma da quel momento il blu cessa di essere un colore di secondo piano e diviene rapidamente alla moda, un colore aristocratico; in qualche decennio il suo stato cambia, il valore economico monta alle stelle, il suo posto nell’arte è dominante, esplode nelle vetrate e sugli smalti. La nuova moda del blu fa la fortuna dei tintori specialisti di questo colore, che prendono il sopravvento sui potenti tintori del rosso. L’industria tessile è la sola grande industria dell’occidente medioevale, spesso in conflitto con gli altri corpi del mestiere come i fabbricanti di lana o i tintori. Dovunque l’estrema divisione dei lavori e rigidissimi regolamenti, riservano il monopolio della pratica della tintura, chi tinge in rosso non può tingere in blu. Gli accessi alle acque sono fonte di risentimenti che attraversano i secoli.

Il NERO, entra in scena drammaticamente con la Riforma e domina incontrastato – dopo aver cacciato la gioia, la grazia, la passione e gli eccessi della Corte Papale – nell’abito di ogni gentiluomo d’Europa a cominciare da Filippo II, il Re che si comunicava ogni giorno e dai suoi Grandi di Spagna le cui pallide teste sostenute dalle gorgiere esprimono solo la penitenza. I libri di Pastoureau diventano un viatico prodigioso. Si tratta di un opera monumentale da non avere riscontri, compagna ideale di ogni viaggio. Illuminante per esempio la sua considerazione sul restauro della volta della Cappella Sistina: «Non dimentichiamo che noi oggi vediamo le opere e i colori del passato in condizioni molto differenti. La torcia, la lampada a olio, il cero producono una luce che non è quella della corrente elettrica. È un'evidenza ma quale storia ne tiene conto? Pensiamo per esempio al recente restauro delle volte della Cappella Sestina e agli sforzi considerevoli sia tecnici che mediatici per “ritrovare la freschezza e la purezza originale dei colori usati da Michelangelo”.
Un esercizio del genere certamente stimola la curiosità nonostante sia irritante, ma diventa perfettamente vano e anacronistico se lo illuminiamo e vediamo alla luce elettrica gli strati di colore così svelati. Il tradimento più grande non è forse stato quello operato dal tempo e dagli uomini a partire dal XVI secolo?» Per concludere, il sentimento più intenso provocato da questa vasta lettura, l’emozione più forte, è quella d’aver messo in luce l’opprimente rete mortale gettata dai potenti sulle spalle della gente comune attraverso tutti i secoli servendosi del colore: una strage sistematica per le più futili e pretestuose ragioni.