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Stefano Semeria

Quando “Lo Squalo” si mangiò il cinema indipendente


L'uscita nelle sale del film, diretto da Steven Spielberg, basato sull'omonimo romanzo di Peter Benchley e vincitore di tre Oscar, è considerata come un momento di svolta nella storia del cinema americano

Era il 2011, mi trovavo al Festival di Cannes a guardare un bellissimo documentario di Alex Stapleton su Roger Corman dove questi dichiarava che Steven Spielberg con il film "Lo Squalo" aveva ucciso il cinema indipendente. Questa dichiarazione mi è rimasta impressa e mi ha fatto riflettere. Per comprendere il senso di questa frase è necessario sapere cosa si intendeva per cinema indipendente fino agli anni ’80, (Lo Squalo è del 1975). Il cinema americano, sin dagli inizi della sua esistenza è stato monopolio delle grandi case di produzione che avevano attori, registi e sceneggiatori nel proprio libro paga, per creare grandi produzioni, un meccanismo chiamato Studio System. Questo tipo di regime produttivo altamente funzionale concedeva alle major un monopolio esclusivo, ma soprattutto un livello di qualità molto alto, in grado di saturare la richiesta del pubblico statunitense.

Negli anni ’40 vi fu un tentativo di allontanarsi dal classicismo grazie a registi coraggiosi come Frank Capra e Elia Kazan, il cinema iniziò a ispirarsi al teatro, sul grande schermo arrivarono anti divi come Marlon Brando e James Dean, al cinema si vedevano le opere di Tennessee Williams che, pur con forti censure, mostravano al grande pubblico storie più complesse e morbose. Gli attori non erano più caratteristi, ma iniziavano a indossare maschere diverse, dimostrando il loro vero talento con personaggi più umani. Il meccanismo distributivo, però restava lo stesso: le grandi case di produzione possedevano i cinema e, attraverso un sistema di integrazione verticale, li gestivano distribuendo film a pacchetti (block-booking), ogni pacchetto contava un film famoso e altri meno riusciti, così da poter assicurare un pubblico e un rientro economico anche per le pellicole di minor successo e notorietà.

Questo modo di operare escludeva completamente l’importazione di film stranieri e impediva di fatto la visione di film non prodotti dai grandi studios. Inoltre, i film distribuiti negli USA dal 1934 al 1967 dovevano seguire alla lettera il Codice Hays, i cui 3 principi fondamentali erano:

  1. Nessun film deve abbassare gli standard morali degli spettatori, indirizzandone la simpatia verso crimini, comportamenti devianti, il male o il peccato.

  2. Saranno presentati solo standard di vita corretti, limitandosi alle opportune eccezioni per dramma e entertainment.

  3. La Legge Naturale, Umana o Divina non deve essere ridicolizzata o violata.

A questi principi morali facevano seguito una serie di vincoli molto rigidi che vietavano dal linguaggio scurrile alle coppie interraziali, ma anche baci troppo appassionati. Proprio dagli anni ’50, però, questo sistema produttivo iniziò a mostrare le proprie debolezze. L’avvento della televisione fece entrare nella vita degli statunitensi il cinema straniero e forme di entertainment più libere, gratuitamente e direttamente a casa. Inoltre, le major furono costrette ad abbandonare le proprietà delle sale cinematografiche in seguito a famoso Caso Paramount (1948) nel quale si giudicò tale comportamento monopolistico violante le leggi dell’antitrust. La grande crisi del cinema negli Stati Uniti era iniziata, anche se i più considerano la televisione la principale causa, in realtà, le cause sono molteplici e più radicate nel mutamento dello stile di vita statunitense. La Guerra era finita e iniziava un forte fenomeno di deurbanizzazione, l’acquisto di case fuori dal caos delle metropoli aumentò del 50%, erano anche gli anni del Baby Boom, le donne si sposavano più giovani e le coppie avevano una media di 3 o 4 figli.

Lo spettatore medio era cambiato: le sue priorità si erano spostate dall’essere un borghese colto a quelle di avere una famiglia numerosa che abita in una bella periferia. Inoltre, in queste periferie, non c’erano cinema, che erano stati costruiti tutti nei punti nevralgici delle grandi città sovrappopolate, raggiungerli era più complicato e la serata al cinema venne sostituita con la tv in famiglia dopo cena, e gli sport. La conseguenza fu che, andando meno spesso al cinema, lo si faceva solamente per titoli selezionali, preferibilmente ad alto budget, magari tratti da opere teatrali o libri famosi. La conseguenza di questo cambiamento culturale e sociale fu un maggiore spazio agli indipendenti che ora potevano aumentare la loro distribuzione, nacquero i cinema di periferia, quelli all’interno dei centri commerciali e avvenne il boom dei drive-in. Il processo di creazione del film mutò completamente, adesso si partiva da un produttore che, assumendosi la responsabilità progettuale, cercava copioni interessanti, poi il regista e i tecnici ai quali affidarli e infine si pensava ai finanziamenti per realizzarli.

Finora i film avevano avuto un unico pubblico mediamente omogeneo, quello delle famiglie, ora nascevano gusti e target differenti, da qui, le rigide regole del Codice Hays iniziarono a stare strette; inoltre la nuova libertà distributiva permetteva agli esercenti di distribuire sempre più film considerati osceni, anche appellandosi alla libertà di espressione sancita dal Primo Emendamento. Nel 1968 si arriverà a sostituire il Codice Hays con l’attuale e più pratico “MPAA film rating system” che introduce il concetto di film adatto a diverse fasce di età. Le produzioni indipendenti si distinguono per innovazione e coraggio, nascono film per quel target che al giorno d’oggi chiamiamo "Young Adult", supportato da grandi pellicole come “Gioventù Bruciata” di Nicholas Ray (1955), nasce il concetto di teen movie con il grande successo della Disney che entra nel mondo del live action nel 1950 con “L’isola del tesoro”. Arrivano i grandi musical generazionali come West Side Story e i film di Elvis Presley, film parlano ai giovani attraverso la musica e attraverso storie nelle quali si possono riconoscere realmente.

In questo panorama di creatività, i distributori scoprono anche la passione dei giovani per i prodotti a basso budget, film coraggiosi e creativi che raccontano spesso storie assurde.

Qui trovano terreno fertile i capolavori di Ed Wood e la cosiddetta exploitation, genere cinematografico che ha come scopo principale l’intrattenimento senza particolari velleità artistiche, ma che si concentra su sesso e violenza esplicite. Proprio in quest’ultimo filone Roger Corman trova il suo successo. Inizialmente come regista e poi soprattutto come produttore, Corman ha creato un modo di fare cinema: basso budget, tempi stretti e creatività assoluta. Gira film in pochissimo tempo, il leggendario “La Piccola Bottega degli Orrori” (1960), esordio di Jack Nicholson, fu girato in 2 giorni! La sua mente fertile ed ingegnosa lo fa avvicinare a molti generi differenti, dal sci-fi agli horror ispirati a Edgar Allan Poe. Il suo culmine registico giunge nel 1967 con “The Trip” (Il serpente di Fuoco, in Italiano), film drammatico scritto da Jack Nicholson e interpretato da Peter Fonda che racconta della prima esperienza con l’LSD da parte di un uomo in crisi esistenziale.

Per girare il film Corman stesso usa la droga per la prima volta, questo film porterà a problemi distributivi con la fino ad allora fedelissima American International Pictures.Da quel momento in poi Corman si concentrerà sull’attività di produttore e fonderà la New World Pictures, a lui dobbiamo il debutto di grandissime stelle del calibro di Martin Scorsese, Francis Ford Coppola, Jonathan Demme, Joe Dante e Ron Howard, fu proprio Corman a consigliare al giovane “Ricky Cunningham” di concentrarsi sulla carriera registica rispetto a quella attoriale. Ma il grande merito di Roger Corman è stato quello di portare negli Stati Uniti il grande cinema straniero, grazie a lui gli statunitensi hanno potuto conoscere Fellini, Bergman, Truffaut e Kurosawa. Considerato dai più “il re dei b-movies” ha portato nei cinema degli Stati Uniti ben 5 film vincitori dell’Oscar come miglior film straniero.

Siamo nel 1975 quando tutto questo cambierà nuovamente, con l’uscita nelle sale del film “Lo Squalo”. Il film, tratto dal successo letterario di Peter Benchley, ha lo stesso target dei film exploitation che riempiono i drive-in e le sale di periferia, ma ha un budget di 9 milioni di dollari e tutta la capacita distributiva della Universal Pictures sul territorio nazionale della CIC (casa di distribuzione fondata da Universal e dalla Paramount per distribuire i propri film al di fuori degli USA). Quando una major dimostra di poter raggiungere lo stesso pubblico del cinema indipendente, ma con un budget da blockbuster la linea è segnata. “Lo squalo” vince 3 Oscar: montaggio, sonoro e colonna sonora e incassa oltre 470 milioni di dollari nel mondo diventando il più grande successo cinematografico della storia (fino all’arrivo di Star Wars due anni più tardi).

Nel 1975 si segna lo scarto produttivo che cambia nuovamente il mercato, il budget torna a vincere la guerra del successo e il cinema indipendente (e internazionale) tornerà rapidamente ad essere un prodotto di nicchia.

Chissà, vista l’attuale crisi cinematografica che stiamo vivendo a livello mondiale, forse avremo presto un’altra inversione di rotta...noi restiamo a guardare.


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