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Michele Tavola

"Stone puzzles" il film, quasi una recensione

Nella mostra "Stone Puzzles" Dominique Robin esplora le proiezioni dell'umanità sulla natura. Con le pietre ha creato un gruppo di opere: disegni a carboncino, fotografie e un video in cui una serie di mani ricostruisce le pietre

Fotografie © Dominique Robin

Attrici protagoniste: sedici pietre raccolte da Dominique Robin nel corso di quelle che potevano sembrare piacevoli passeggiate in montagna, ma che in realtà erano veri e propri casting per il suo film. Come avviene solitamente nelle pellicole in cui recitano esseri umani, la scelta non avviene per caso mettendo davanti alla macchina da presa la prima persona che passa per strada. La selezione è attenta e meticolosa: ci vogliono i caratteri giusti per il copione, i volti adatti per il ruolo. Così, anche il nostro artista-regista non raccoglie la prima pietra che trova sul sentiero, ma va a caccia del soggetto perfetto per dare forma al suo progetto. Come ha spiegato Dominique stesso, “si tratta di pietre levigate e fratturate dal tempo, i cui pezzi non sono ancora stati dispersi, forme ancestrali modificate dalla pioggia, dal sole o forse dal passaggio di un animale pesante”. Vezzose come dive del cinema, non rivelano la loro età esatta, ma a occhio e croce potrebbero avere circa settanta milioni di anni.

Comprimarie: le mani di nove attori e attrici che interagiscono con le pietre, montando i singoli frammenti fino a ricomporre la forma originale. Alcune agiscono veloci e nervose, altre indugiano titubanti. Qualcuna, dopo aver terminato il lavoro, brandisce il puzzle ricomposto come un trofeo, simbolo del successo ottenuto. Altre mani, ultimata l’opera, si posano simmetriche sul tavolo di marmo prima di uscire dal campo visivo della telecamera, compiendo una specie di inchino che ricorda il saluto rispettoso dei praticanti di arti marziali alla fine del combattimento. I loro movimenti sono pensiero e, osservandole attentamente, si può ricostruire la personalità, la psicologia e il carattere delle persone alle quali appartengono.

Scenografia: tavoli di marmo ripresi dall’alto attraverso un’inquadratura che non lascia intravedere i bordi e insinua nello spettatore la sensazione che la loro superficie sia infinita. Le pietre protagoniste poggiano su altri frammenti di roccia, lisci e perfettamente tagliati, che presentano textures affascinanti, visivamente potenti come le più riuscite composizioni della storia della pittura informale. I fratelli gemelli di questi tavoli, probabilmente, hanno lavorato come modelli per Jean Dubuffet tra il 1958 e il 1962, quando l’artista francese creò la serie dei Phénomènes.

Sceneggiatura: primo frame: i frammenti scomposti di roccia poggiano sul tavolo, disposti casualmente. Ultima inquadratura: la pietra viene mostrata perfettamente ricomposta. Tra la prima e l’ultima immagine le mani realizzano il puzzle.

Trama: sedici episodi, tanti quanti le pietre protagoniste. Nel corso di ciascuno di essi le mani, partendo dai singoli pezzetti di roccia, si impegnano a ridare forma alla pietra. Tutti iniziano e finiscono allo stesso modo, come la vita, che ha origine con la nascita e termina con la morte. Come gli episodi del film, alcune esistenze sono più facili, altre più complesse, alcune più brevi, altre più lunghe. C’è da scommettere che la critica, più o meno militante, produrrà molteplici interpretazioni esegetiche, proporrà diverse letture, talune simboliche altre letterali, analizzerà il significato del film nei modi più svariati e sorprendenti. Come tutte le grandi opere, quella di Robin non è interpretabile in maniera univoca ed è destinata a essere fraintesa e mistificata.

Fotografia: da nomination al premio Oscar.

Colonna sonora: i suoni della natura nella campagna toscana, il canto degli uccelli in sottofondo e il rumore delle pietre che si accostano le une alle altre accompagnano placidamente il ritmo delle immagini.

Durata: ventiquattro minuti nel corso dei quali il tempo viene sospeso, cessa di essere un elemento determinante per lo svolgimento dell’azione e viene sostituito dalla poesia delle forme che progressivamente si compongono.



La proiezione: quella dell’Italian Academy di New York non è una prima: il film, infatti, è già stato presentato a Montalcino, in Toscana, a Venezia e a Milano. Ma come quasi sempre avviene, le protagoniste, seguendo le abitudini delle star che non fanno mancare la loro presenza in occasioni speciali come la notte degli Oscar o il Festival del Cinema di Venezia, si sono presentate granitiche e puntuali. Le pietre, oltre che sullo schermo, in mostra vengono presentate fisicamente come sculture, in fotografia, in disegni a loro ispirati e in un libro d’artista di 164 pagine. Inoltre, per chi volesse cimentarsi direttamente nello stone puzzle, c’è la possibilità di giocare a ricomporre i frammenti di una pietra, provando l’esperienza vissuta in prima persona dall’artista e raccontata nel film: è l’occasione per comprendere le sensazioni e le emozioni dalle quali è nato tutto il progetto.



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© Edizioni Archos

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