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Stefano Semeria

Supervixens cinquant'anni dopo

Una riflessione sui cambiamenti culturali introdotti dal cinema sexploitation e sull’attuale bisogno di presa di coscienza nei confronti passato

Il cinema americano degli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso ha dato alla luce un genere di commedia che poi è stato esportato in tutto il mondo, un genere ricco di allusioni sessuali, nudità e ambiguità (genere che poi in Italia porterà alla commedia erotica all’italiana o sexy pochade). Questo movimento cinematografico prende il nome di sexploitation , spesso intriso di critica sociale e politica, rappresenta una parte fondamentale del cinema indipendente americano del periodo. Russ Meyer ne è stato il massimo esponente. Classe 1922, inizia il suo rapporto con la cinepresa durante la seconda guerra mondiale, come videoreporter per il cinegiornale (sua è la ripresa dell’avanzata del Generale Patton mostrata nel film di Schnaffer “Patton” del 1970), prosegue la carriera come fotografo glamour per arrivare al suo primo vero film nel 1959, "The immoral Mr.Teas".


Il suo stile era caratterizzato da sesso e violenza con una forte critica sociale. Il cinema di Russ Meyer è stato spesso preso in considerazione con leggerezza a causa dell’alto contenuto di nudità ed erotismo, tuttavia, il contesto è molto più profondo. Qualunque fossero i suoi ideali personali, fu il primo cineasta americano a celebrare le donne forti come sesso dominante, contrapposto ai personaggi maschili sessualmente inadeguati. Meyer amava le donne e i suoi film erano un riflesso della sua fantasia, non appoggiò mai apertamente ideologie femministe, anche se fu memorabile in suo intervento quando, durante una conferenza alla Yale University una donna lo accusò di essere "nient'altro che un uomo amante dei seni" e la sua risposta fu: «quello è solo metà di quel che sono».


Russ Meyer


Le donne rappresentate nei film di Meyer hanno fisici giunonici, sono indipendenti, consce della propria sessualità, dei propri desideri sessuali e capaci di tenere alla larga gli uomini sbagliati.Insomma, non più damigelle da salvare o femme fatale manipolatrici, ma individui che guidano il gioco: con loro è l’uomo il nuovo sesso debole. Emblematico è “Supervixens” del 1975, da Russ Meyer definito “la sintesi di tutti i miei film”. Il protagonista, Clint Ramsey è un benzinaio sposato con SuperAngel, donna possessiva, gelosa e molto esigente; dopo l’ennesimo litigio Clint se ne va trovandosi immischiato in una serie di rocambolesche avventure legate ad altre sei Super ragazze (ognuna di loro avrà questo suffisso prima del nome proprio) che lo vorranno sedurre e lo porteranno in guai sempre più seri. Il film è violento, sexy ed estremamente divertente, ricco di citazioni di altre grandi pellicole del calibro di Psycho, ma anche ai cartoni di Wile E. Coyote!


Questo film è stato di uno dei maggiori successi commerciali di questo controverso regista. 45 anni anni dopo, uno dei fenomeni che maggiormente sta caratterizzando l’approccio al cinema in questi mesi sembra essere una sorta di revisionismo storico nel quale viene richiesto che opere cinematografiche potenzialmente offensive vengano segnalate in quanto tali. Tale pratica possiede senza dubbio lati positivi (è giusto avvisare chi potrebbe sentirsi offeso dai contenuti proposti e necessita di una contestualizzazione per comprenderli) e altri negativi (potenzialmente qualsiasi prodotto può offendere qualcuno e quindi, ogni film dovrebbe avere un disclaimer).



La mia riflessione è duplice: un film di genere come “Supervixens” nel 2020 non potrebbe avere l’enorme successo che ebbe nel 1975 (parliamo di 17 milioni di dollari al botteghino) a causa dei suoi contenuti, eppure quegli stessi contenuti hanno contribuito enormemente a costruire una nuova immagine femminile nella quale molte donne hanno potuto riconoscersi, spingendole verso nuove aspirazioni, nettamente diverse da quelle proposte da tutto quello che era il cinema precedente. L’impressione che suscita la critica cinematografica contemporanea è quella di non voler accettare il lavoro eseguito durante un'epoca estremamente diversa da quella odierna, volendolo forzatamente giudicare con canoni diversi da quelli degli anni '70, perdendo di vista così alcuni comportamenti che hanno costruito il nostro presente sociale e politico.


Quindi, se qualcuno cerca di contestualizzare le opere del passato, si rischia di perdere qualcosa del nostro presente, lasciando una testimonianza di eccessiva e irreale innocenza che potrebbe portare a un pericoloso futuro senza critica e memoria (o un eccesso di entrambe che è altrettanto pericoloso)? Se ogni nuovo movimento culturale è mosso dal desiderio di revisione e rottura con il precedente, cosa potrebbe portare l’attuale desiderio di rispettoso controllo totale?


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