Redazione ArtApp
6 giorni fa
Giorgio de Chirico, Il cervello del bambino, 1914 | Moderna Museet, Stoccolma, acquisto 1964 (The Museum of Our Wishes)
La Collezione Peggy Guggenheim presenta Surrealismo e magia. La modernità incantata a cura di Gražina Subelytė, Associate Curator, Collezione Peggy Guggenheim. Oltre venti artisti, circa sessanta opere provenienti da quaranta prestigiosi musei e collezioni private internazionali: si tratta della prima, attesa mostra interamente dedicata all’interesse dei surrealisti per la magia, l’alchimia e l’occulto. Da un punto di vista cronologico, l’esposizione spazia dalla pittura metafisica di Giorgio de Chirico, datata intorno al 1915, a dipinti iconici come La vestizione della sposa (1940) di Max Ernst, e Gli amanti (1947) di Victor Brauner, al simbolismo occulto delle ultime opere di Leonora Carrington e Remedios Varo. La mostra, organizzata dalla Collezione Peggy Guggenheim con il Museum Barberini, a Potsdam, si sposterà successivamente nella città tedesca, dal 2 ottobre 2022 al 16 gennaio 2023, con la curatela di Daniel Zamani, Curator, Museum Barberini, Potsdam.
Leonora Carrington, I piaceri di Dagoberto, 1945 | Collezione privata
Con il Manifesto del Surrealismo, pubblicato nell’ottobre del 1924, lo scrittore francese André Breton fondò un movimento letterario e artistico che di lì a poco sarebbe diventato la principale avanguardia dell’epoca. Segnati dagli orrori della prima e seconda guerra mondiale, i surrealisti rifiutano la razionalità, scegliendo di perseguire strade alternative: i sogni, l'irrazionale, l'inconscio, ma anche la magia, la mitologia, l'alchimia e l'occulto. Si tratta di tematiche in grado di stimolare e liberare l'immaginazione da ogni limite, ispirando opere che possano alleviare l'umanità in un momento di turbamento e profondo cambiamento socio-politico.
Max Ernst, La vestizione della sposa, 1940 | Collezione Peggy Guggenheim, Venezia (Solomon R. Guggenheim Foundation, New York)
Per gli artisti che gravitano nell’orbita del Surrealismo la magia diviene il lasciapassare per una rinascita culturale e spirituale post-bellica, che permette loro di raggiungere l’obiettivo di una rivoluzione totale, non solo materiale, ma anche della mente, una trasformazione individuale che diventa il mezzo con cui cambiare il mondo. Nelle loro opere, i surrealisti attingono a piene mani alla simbologia dell’occulto, legato a un sapere arcano e a processi di emancipazione personale, e alimentano la tipica nozione dell’artista come alchimista, mago o visionario, e ancora dea, strega, incantatrice. Nel lungo studio su L’arte magica (1957) Breton definisce il Surrealismo come la scoperta della magia in una modernità disincantata e razionalizzata, e così facendo inserisce il movimento come ultima espressione di una lunga tradizione di “arte magica” rappresentata, ad esempio, dal pittore olandese Hieronymus Bosch, la cui fantasiosa iconografia affascina i surrealisti.
Surrealismo e magia. La modernità incantata ruota attorno a temi quali l'alchimia, la metamorfosi e l'androgino, i tarocchi, la sostanza totemica, la dimensione dell’invisibile e quella cosmica, nonché la nozione dell'artista come mago e della donna come essere magico, dea e strega. Il percorso espositivo prende il via dai dipinti metafisici di de Chirico, che Breton considera il principale precursore del movimento surrealista, la cui influenza fu decisiva sulla prima fascinazione dei surrealisti per magia e occulto. Tra questi si trova Il cervello del bambino (1914), dipinto che appartenne alla collezione privata dello stesso Breton, e che lo scrittore francese descrisse come un caso di androginia e trasformazione di genere, "non era solo freudiano, ma anche magico".
Leonor Fini, La pastorella delle sfingi, 1941 | Collezione Peggy Guggenheim, Venezia (Solomon R. Guggenheim Foundation, New York)
Per molti surrealisti, l'androginia è sinonimo della cancellazione del binomio maschio-femmina e dunque sovverte le gerarchie di potere insite nelle società patriarcali. Il concetto di matrimonio alchemico, sinonimo di insieme coeso e dunque di uno stato di perfezione, domina la sala successiva della mostra, che vede riuniti dopo circa 80 anni due capolavori, La vestizione della sposa di Ernst, appartenente al museo veneziano, e il Ritratto di Max Ernst della Carrington (1939 circa). Nel suo dipinto, Ernst raffigura la Carrington, sua compagna dal 1937 al 1940, come strega e incantatrice, mentre la Carrington ritrae Ernst come alchimista, eremita, figura sciamanica. Tale accostamento mette in evidenza il loro scambio artistico e gli interessi condivisi per la stregoneria, la magia e il simbolismo alchemico e animale. Inoltre, rivela l'influenza che la Carrington ebbe su Ernst, avendo il suo ritratto probabilmente ispirato l’opera di Ernst, realizzata successivamente, nel 1940.
Victor Brauner, Il surrealista, 1947 | Collezione Peggy Guggenheim, Venezia (Solomon R. Guggenheim Foundation, New York)
Si prosegue con opere che raffigurano le infinite analogie tra uomo e natura, il micro e il macrocosmo, come Il giorno e la notte di Ernst (1941-42). Un’intera sala è poi dedicata ai lavori di Kurt Seligmann, artista e studioso di occultismo di origine svizzera, autore del libro The Mirror of Magic (1948), divenuto un classico dell'occulto, ampiamente letto dai surrealisti, tra cui la stessa Carrington. Segue un affondo sulla nozione di donna come essere magico e sul tema della sovrapposizione tra vita animale, vegetale e umana, con opere come La donna gatto (1951) della Carrington, La fine del mondo (1949) di Leonor Fini, La magia nera (1945) di René Magritte, Il gioco magico dei fiori (1941) di Dorothea Tanning, L’interesse proto-femminista per alchimia, stregoneria e androginia è poi centrale in opere come I piaceri di Dagoberto (1945), della Carrington, il Ritratto della Principessa Francesca Ruspoli (1944) della Fini, Nutrimento celeste (1958) di Remedios Varo.
René Magritte, La magia nera, 1945 | Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique, Bruxelles
La mostra si chiude infine con i temi delle forze cosmiche e della dimensione dell’invisibile, incarnati dalle tele di Salvador Dalí, Óscar Domínguez, Roberto Matta, Wolfgang Paalen, Kay Sage e Yves Tanguy, in un dialogo serrato che anima l’ultima sala.
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© Edizioni Archos
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