Per Baliani ogni storia narrata con passione è un antidoto a un mondo troppo veloce composto solo di immagini fluttuanti e attraenti che scorrono di continuo nelle nostre vite
Una professione di incredulità nell'onnipotenza del visibile
Cristina Campo
Mi accingo tra pochi giorni a portare in scena due esempi unici e per me fondativi della mia costante ricerca di una oralità narrante. Due spettacoli, Frollo e Kohlhaas visti da tanti, tantissimi, che ancora mi vengono chiesti come fosse inesauribile la possibilità di riascoltarli, perché è puro ascolto quello che chiedo con le mie narrazioni. Sì certo, c’è anche un corpo in scena da vedere con gli occhi, un corpo che si dimena, si contorce, si trasforma ma poi alla fine sono solo parole volanti quelle che si incastrano nelle orecchie dello spettatore che così diventa soprattutto ‘ascoltatore’, e in questo mix di voce e corpo deve a sua volta attivare i suoi neuroni specchio e vivere immaginariamente, a modo suo, per l’intera vicenda narrata.
Devo allora ricordarmi ogni volta della bella frase di Cristina Campo che centra in pieno la mia necessità scenica. Ogni storia narrata con passione è un antidoto a un mondo troppo veloce composto solo di immagini fluttuanti e attraenti che scorrono di continuo nelle nostre vite, allertandoci sempre, tampinandoci ossessivamente per essere sempre al passo dei tempi. Ma sono tempi fasulli, inventati solo per stare al guinzaglio delle nuove merci in arrivo, pronti a scattare per acquistarle. Una fatica e una povertà spirituale di vivere che viene propagandata come leggerezza e disponibilità.
Allora mi siedo, comincio a narrare ed entro in un altro tempo, quello della fiaba. In fondo sia Frollo che Kohlhaas sono due fabule, due narrazioni che puntano alla verità del sentire, senza bisogno di premettere, come spesso ormai accade, che sono tratte da una storia vera. Preferisco che la storia sia fantasticamente altro dalla cosiddetta realtà e che la verità di un atto teatrale non si fondi sulla realtà ma sulla forza evocativa che racchiude.
Non ne posso più di tutto questo reality che di continuo affolla le menti, una truffa, un precipitato di realtà costruita che nasconde invece la sua assenza, il mondo economico viaggia fottendosene della realtà, il sistema capitalistico non ne ha bisogno, anzi, le borse, le transazioni commerciali, gli indici, i pil, non corrispondono ad altra realtà che a quella di staccare proventi per i vari azionisti, le ricadute sulla vita concreta della gente non li riguarda. Le destre che avanzano con la loro intrinseca e ineludibile dose di violenza, potendo usare solo muscoli e nient’altro, non fanno che distogliere l’attenzione sul vero malanno del mondo, il sistema che ci sta portando universalmente al collasso, e al suicidio. Come sempre nella storia le destre servono a rafforzare i poteri esistenti.
E allora nel minuscolo spazio che mi ritaglio, grazie a coloro che mi chiamano a pestare i piedi sul palco, cerco di andare controcorrente, in forme ostinate, e testarde, e l’unico modo che ho per esercitare questa ridicola solitaria accanita rivolta, è quello di trasformare il racconto in un’opera d’arte, in una unicità percettiva che rimetta in gioco stupore e curiosità. Ogni volta che racconto queste storie devo riuscire a farle vivere allo stato nascente, devo ritrovare uno spirito infantile dentro il mio corpo, dimenticandomi della vecchiaia che gli anni denunciano. Lo so che curiosità e stupore sono sempre in vendita sugli scaffali del mostruoso supermercato delle nostre esistenze, ma sono stupori e curiosità già confezionati, pronti all’uso, consumabili e ricambiabili, contenitori vuoti, che subito dopo l’acquisto già si afflosciano rivelando il vuoto di cui sono composti.
Le curiosità e gli stupori della mia storia sono condizione di instabilità permanente, generano l’inquietudine che ogni vera fabula porta con sé, perché quelle storie stanno parlando della vita e del destino, cose che non si trovano su nessuno scaffale e che richiedono un allenamento per essere scoperte. L’allenamento che è per me quello che serve per stare sulla scena e per gli ascoltatori quello che serve a pompare immaginazione. I miei racconti sono una palestra attrezzata a far mettere muscoli all’immaginazione.
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