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Franca Pauli

Vajont

Un'onda d’urto superiore a Hiroshima. Uno tra i più gravi disastri tecnici della storia dell'uomo


Vista frontale della diga del Vajont | Foto Giorgio Nuzzo


1957, a un centinaio di chilometri da Venezia, tra le rocce e le gole della valle del fiume Vajont, iniziano i lavori della nuova diga idroelettrica. Operazione essenziale per la diga è un vasto bacino di 200 miliardi di litri d’acqua. Sin dall’inizio del riempimento del bacino, un'enorme fessura comincia ad apparire sul Monte Toc (“Monte Marcio” perché notoriamente costituito da roccia particolarmente friabile e porosa) al di sopra della diga. Poi, nel 1960, una frana, pur relativamente piccola, dà inizio a una serie di nuove ricerche scientifiche e conferma una terribile verità: in seguito al riempimento del bacino idrico sottostante, il Monte Toc si è trasformato in un pozzo d'acqua e ha staccato un masso di 270 milioni di metri cubi di roccia che ora sta lentamente scivolando dalla montagna, verso il bacino. Nel 1962, le autorità abbassano il livello dell’acqua di una ventina di metri, fiduciosi che la diga non potrà essere superata, se la frana cadrà nel bacino alla velocità prevista.


La diga del Vajont in costruzione, maggio 1959


La gente del posto si sente in pericolo, ma i funzionari del governo e i portavoce dell’Enel la rassicurano che si tratta di un rischio minimo. Il 9 ottobre 1963 alle 22.39, viaggiando a quasi 100 chilometri l’ora (tre volte la velocità prevista), una frana di 270 milioni di metri cubi di roccia e terra, larga due chilometri, precipita nel bacino. Causa due gigantesche onde in direzioni opposte: una verso la diga, l’altra verso il villaggio di Erto. Viaggia ora a oltre 50 chilometri l'ora e inghiotte tutte le fattorie e le case che incontra lungo la costa, uccidendo la maggior parte dei loro occupanti. Protetto da uno sperone della montagna, il paese di Erto è miracolosamente risparmiato dall’ondata peggiore. Sulla riva opposta del bacino, la seconda onda si sposta verso la diga che scarica oltre 25 milioni di metri cubi d’acqua nella valle sottostante.


Il Secondo Reparto Celere di Padova al lavoro tra le macerie do Longarone | Foto courtesy Archivio Polizia di Stato


Nel mirino dell’onda, i circa 5.000 abitanti di Longarone, che non hanno ormai più alcuna via di fuga. La città scompare, ridotta a poco più che fango e macerie. Dei 372 edifici del posto, ne rimangono in piedi 22. Tutto il resto, appiattito, maciullato... scorre via nelle acque del fiume Piave, verso Venezia. Il disastro del Vajont ha ucciso più di 2.000 persone ed è a tutt’oggi,nella storia, uno dei peggiori disastri causati dalla tecnica. Si stima che l’onda d’urto dovuta allo spostamento d’aria sia stata di intensità uguale, se non superiore, a quella generata dalla bomba atomica sganciata su Hiroshima.






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